Propmaker: Cosplay Hub intervista Fulvio Pannese di Pannaus Props
Se si parla di cosplay, prima o poi si finisce a parlare di props. E chi è il re dei propmaker italiani? Lui è troppo modesto per dirlo, ma noi di Cosplay Hub non ci facciamo troppi problemi: Fulvio Pannese è talmente bravo che il suo posto sarebbe ad Hollywood. Allora, perché è ancora qui? Scopriamolo nella nostra intervista esclusiva.
Siamo qui con Fulvio Pannese, presidente nonché fondatore di Pannaus Props. Ci piacerebbe avere, per cominciare, un breve riassunto di quello che fa la tua azienda.
Pannaus Props si occupa di realizzare props, che è un abbreviazione del termine inglese property. Property è l’oggetto di scena, che viene usato al cinema, in televisione o a teatro. Chi fa queste cose è anche un maker… da qui il termine “propmaker”. Ecco, noi siamo propmaker, e abbiamo un laboratorio a Roma. Siamo un piccolo team, dove ognuno ha la sua particolare specializzazione: c’è chi lavora il cuoio, chi la resina o il forex, chi scolpisce e chi modella, c’è un ragazzo che si occupa di gioielleria che è anche pittore e scenografo… insomma, tecnicamente siamo già una squadra pronta a lavorare per produzioni cinematografiche o televisive.
Pannus Props si è fatta un certo nome (anche) nel mondo cosplay. A cosa si deve, a tuo avviso, questa fama?
È iniziato tutto con l’elmo di Iron Man. È stato il primissimo progetto che misi in cantiere: mi portò via moltissimo tempo, perché non ci lavoravo continuativamente. Mi ci dedicavo non appena potevo, e non disponevo ancora dell’attuale laboratorio, ma riscosse fin da subito una grande attenzione. Quello, e il fatto che ero a capo di un’associazione di Star Wars dal 1999 al 2007 (con annesso stand in fiera) mi ha dato modo di entrare in contatto con moltissimi cosplayer. L’elmetto di Iron Man, però, è stato il mio vero salvacondotto per entrare in questo mondo dalla porta principale: a detta di molti, era un prop particolarmente accurato, e quando nel 2012 ho iniziato a lavorare full time al propmaking avevamo già parecchi occhi puntati addosso, e molte commesse lavorative. Le persone iniziavano a girare per le varie fiere del comics coi nostri props indossati, e quella è stata la migliore pubblicità immaginabile.
Naturalmente, ci siamo fatti anche la fama di essere più costosi della media: ma questo, se inevitabile, è anche difficile da capire in prima istanza. Molti non immaginano neppure quanto lavoro c’è dietro la creazione da zero di un qualsiasi oggetto.
Le persone che si rivolgono a Pannus Props, quindi, sono pronte a pagare qualcosa in più. Lo fanno senza fiatare, perché riescono a percepire un valore aggiunto nei vostri props, o vi trovate a discutere sui prezzi praticati?
Questa cosa succede sempre meno, ormai. Dopo tanto tempo, tutta la nostra campagna di “istruzione” sulle fatiche del propmaking sta dando i suoi frutti. Però, fino a uno o due anni fa, a fronte di preventivi che ci venivano richiesti, non erano rare le risposte quasi offese, come se stessimo lucrando sulle passioni altrui. Nè sono tuttora infrequenti le richieste di cosplayer che descrivono (spesso con dovizia di particolari) i props che vorrebbero, facendole seguire subito dopo da “però non ho più di trenta euro da spendere”. Ecco, queste persone mi fanno sorridere, e vorrei, sul serio, che capissero che un oggetto che esce dal nostro laboratorio ha dietro ore e ore di dura progettazione: personalmente, prima ancora di passare alla lavorazione vera e propria, passo moltissimo tempo a studiare l’oggetto, in ogni suo dettaglio. Il nostro cliente deve essere, oltre che orgoglioso di sfoggiare un props per la quale ha speso del denaro, impossibilitato a muovere qualsiasi critica a lavoro finito: se consegni un oggetto perfetto, o quasi, nessuno potrà mai tornare a lamentarsene, né con te né con altri.
Naturalmente, come appena detto, questo si traduce in un grande investimento in termini di tempo. Ed è esattamente il tempo ad avere un costo, molto più dei materiali stessi, che incidono sul prezzo finale solo per una minima parte. Vi faccio un esempio: un elmetto come quello di Capitan America, richiede materiali per meno di venti euro. Però, il suo prezzo si aggira sui 600 dollari. Come si arriva a questo prezzo? Ci si arriva dopo mesi di lavoro ininterrotto, test, prototipi, materiali buttati, settimane solo per capire come crearlo in due elementi distinti, studio di filmati e fotografie per replicarlo identico in ogni dettaglio, e non soltanto simile o molto simile. È qui la differenza. È questo che si paga.
I materiali, ripeto, incidono poco: nonostante usiamo soprattutto resina (e non materassino), e la maggior parte dei nostri props proviene da stampi in silicone (con un certo costo), è il tempo investito nei singoli progetti (e, in definitiva, l’accuratezza) che ci rende – mediamente – più cari di altri.
Altri artigiani si mettono d’impegno, lavorano i loro pezzi di foam o di worbla e spesso tirano fuori pezzi interessanti… ma poco duraturi, nel tempo possono apparire crepe, o insorgere altre problematiche (colla che si stacca, worbla che col caldo si deforma, eccetera). I nostri props sono diversi. Questo non significa, ovviamente, che propmakers più veloci di me nella progettazione ma ugualmente capaci, non possano praticare prezzi più bassi, proprio a fronte di un minore tempo impiegato.
Tra i tanti progetti portati a compimento da Pannus Props, qual è quello che vi ha portato via più tempo nello sviluppo? Fino a farvi ammattire?
Ogni nuovo progetto, è come ricominciare da zero. Ogni nuovo progetto fa storia a sé. Ad esempio, un paio di anni fa la Umbrella Corporation ci richiese un minigun. Il minigun è un cannoncino portatile, con sei canne rotanti, un mirino laser e counter digitale delle munizioni. Quello ci impegnò parecchio, non tanto per le parti esterne, quanto per l’elettronica e l’Arduino. Ricordo che bruciammo, nel corso dei tentavi, quattro Arduino micro (e con loro, ogni volta 25 euro andavano in fumo), cercando di fornire la corretta alimentazione al motorino dell’avvitatore che faceva ruotare le canne. La batteria era da 12 volt, ma la corrente doveva passare per l’Arduino a 5 volt, e attivare il counter digitale, il motorino e le luci. Il che, credimi, è molto meno semplice di quanto tu possa pensare. Un’altra bella gatta da pelare, fu l’Aquila di Anivia, tratta da League of Legends: completamente realizzata in resina dal mio socio Riccardo, ci tenne svegli fino a tarda notte per completarla al livello che ci eravamo preposti.
Il progetto che più vi ha impegnati coincide con quello di cui siete più orgogliosi?
Direi di sì. Fatte le debite proporzioni, è come quando fai un figlio. Ti ci danni appresso, ti fa diventare matto, ma quando cresce e lo vedi diventare sempre più bello, arrivi a commuoverti. Ricordo che quando lavoravo al pattern dell’elmetto di Capitan America, quello ai lati della testa e che nessun propmaker era riuscito a riprodurre col giusto grado di accuratezza, una sera (anzi, una notte) arrivai all’ennesimo prototipo che finalmente funzionava alla perfezione… e mi scivolò una lacrima. Di sollievo, ma anche di pura felicità.
Credo che sia normale restare particolarmente attaccati ai progetti più impegnativi. Ci perdi la vita dietro, ma ti danno più soddisfazione.
Avete ricevuto anche commissioni che avreste preferito, per un motivo o per l’altro, rifiutare?
Una volta, un cliente ci chiese di realizzare un supporto di plexiglas per il martello di Thor, in modo che potesse tenerlo attaccato al muro. Ricordo che il progetto non ci piacque fin dal primo momento. Non ci andava di farlo, lo ritenevamo brutto, gli proponemmo un’alternativa secondo me parecchio più efficace, ma non ci fu verso. Come lo volle, così glielo facemmo. Ma controvoglia.
E qual è il progetto che, se vi fosse richiesto oggi, realizzereste in modo del tutto diverso?
Non ho dubbi: l’armatura del giudice Dredd, tratta dal film del 1995 con Stallone. Andrebbe riprogettata ex novo. Gli spallacci non li farei curvi, ma piatti (si curverebbero da soli una volta indossati, invece di diventare matto ogni volta a dare la corretta forma allo stampo di gomma), le piume dell’aquila andrebbero termoformate in modo da ridurre sensibilmente il peso… credo che riuscirei a portarla dai sette/otto chili attuali a meno di quattro.
E invece quale progetto avresti voluto ti fosse commissionato ma ancora non è accaduto?
Anche qui è abbastanza facile rispondere: l’armatura di Iron Man. È il mio sogno da un bel pezzo, riprodurla come e anche meglio di quella usata nel film. Dico ‘meglio’ perché, a quanto leggo, Robert Downey Jr. non ha mai indossato l’armatura intera. Durante le riprese, nonostante fosse disponibile per intero, ha sempre indossato solo la parte superiore, per sua comodità. La realizzerei in vetroresina e gomma, in modo – soprattutto – che chi la indossa possa effettivamente muovercisi senza sembrare uno scaldabagno con le gambe. Le attuali repliche in resina o in foam hanno i loro rispettivi problemi, e mancano del necessario studio ingegneristico. In un progetto come questo, se muovi un arto devi pensare a tutto quello che c’è intorno e a come si comporterà. Puoi realizzare una splendida statua, ma sarà impossibile da articolare: o, viceversa, qualcosa di molto comodo ma che non apparirà mai come un’armatura verosimile. Quando, tra poche settimane, uscirà l’action figure della Hot Toys in scala 1:4, mi rimetterò autonomamente al lavoro su una replica fedele… ma sarà solo per uso personale.
Immaginando che qualcuno volesse intraprendere una carriera come la tua, e volesse cimentarsi nell’arte del propmaking… da cosa dovrebbe partire?
Gli suggerirei di pensare a qualcos’altro! Ma, se proprio insistono, direi di cominciare dal liberarsi dell’idea che si tratti di un lavoro relativamente facile. Non lo è. Non fatevi trasportare dal successo che avete ottenuto – magari – con un costume venuto benino in foam. Tappetino o pepakura non sono tecniche professionali, e non si può pensare di realizzarci progetti pagati abbastanza. Prima o poi, arriveranno commissioni dove serviranno necessariamente stampi in silicone, copie fuse in resina, eccetera. Ho visto parecchie persone prendere la cosa come un hobby, un hobby che assorbe anche parecchio tempo, senza diventare mai un lavoro vero e proprio. E poi, c’è la questione delle Run.
Cos’è una Run?
Immagina che io, propmaker, annunci pubblicamente, su un forum o sulla mia pagina Facebook, di voler iniziare un nuovo progetto. Inizio a ricevere delle adesioni da parte di gente interessata. Magari, anche qualche decina. Inizio a farmi velocemente i conti, e mi vedo già ricco. Qual è il problema? Che, molto spesso, i soldi per queste commissioni vengono versati in anticipo… (almeno, così accade per i clienti esteri, in Italia c’è molta, molta più diffidenza, e quasi tutti, da noi, pagano la metà al momento dell’ordine e il saldo alla consegna). Ecco, hai incassato il denaro per venti copie del tuo oggetto, e ora devi produrle, quelle venti copie. Cosa che – per chiunque prenda il propmaking come un hobby – diventa un problema. Chi ha pagato, pretende di ricevere il suo oggetto entro un certo limite di tempo, tempo che magari tu stesso hai stabilito. Ma tu non disponi di una catena di montaggio, e puoi tirare fuori solo un oggetto alla volta. E inoltre, ti accorgi che hai anche una vita privata: una fidanzata, un esame da portare, o, più semplicemente, non vuoi lavorare anche la domenica. E resti indietro. I tuoi clienti iniziano a farti pressioni. I tuoi clienti smettono di essere gentili. I tuoi clienti cominciano a far girare la voce che non rispetti le date di consegna. Che non rispondi ai messaggi. Ho visto persone venire allontanate da comunità on line di propmaker perché non erano riuscite ad adempiere nei tempi a tutte le ordinazioni ricevute. C’è un tipo di pressione completamente diversa dal ricevere uno stipendio a fine mese: ti svegli che sei già in ritardo. Il fatto di essere stato pagato in anticipo sembra autorizzare chiunque a scriverti più volte al giorno e a sottolineare pubblicamente ogni tua mancanza.
Inoltre, considerate attentamente tutte le spese che vi serviranno per partire: se siete nel garage di casa tutto a posto, in caso contrario preparatevi a pagare un affitto, la corrente elettrica e un riscaldamento se non volete lavorare imbacuccati nei mesi invernali.
Per quanta passione possiate avere agli inizi, arriverà il momento in cui diventerà un lavoro manuale come tutti gli altri: passato l’entusiasmo di lavorare su un pezzo nuovo, vedrete che quando si tratterà di costruirlo per la ventesima volta, non ne potrete più.
Qual è l’attrezzatura basica che un propmaker dovrebbe procurarsi per iniziare?
Anni fa, posi la stessa domanda sul forum di RPF (Replica Prop Forum), il più quotato e conosciuto al mondo, e mi risposero:
- una sega a nastro (cambiando lama, si può tagliare qualsiasi materiale plastico o il legno)
- una levigatrice da banco (utilissima quando certe lavorazioni a mano porterebbero via troppo tempo)
- un trapano a colonna (se avete bisogno di fare dei buchi precisi, scordatevi di farlo con un avvitatore)
- un buon set di taglierini
- una bella scorta di carta vetrata
- un buon trapano/avvitatore.
Chiudo con un’ultima domanda. Una delle tecniche che ha incontrato un certo favore tra parecchi coplayer è il pepakura, ma Pannaus Props non lo impiega. Quali sono gli svantaggi di cimentarsi con questo sistema nella creazione di props?
Anzitutto, il Peapkura presuppone capacità di maneggiare carta, resina e stucco non esattamente alla portata di tutti. Chi realizza i modelli 3D, poi, generalmente lo fa per metterli in vendita a pochi dollari se non addirittura gratis: il che, sfortunatamente, è spessissimo garanzia di lavoro approssimativo (Fulvio ha usato un’altra parola, ma il senso è questo). Per noi, poi, maniaci dell’accuratezza di ogni dettaglio, l’uso di un modello realizzato da qualcun altro è del tutto escluso, considerato che dovremmo inevitabilmente rimetterci le mani (e non sul modello 3D, ma sul modello già stampato, ritagliato, piegato, incollato e stuccato). So bene che è una tecnica molto popolare, dall’approccio più semplice di tante altre (specie se applicata al foam, il volgare tappetino di spugna, che non produce cattivi odori e si può lavorare anche in casa), ma oltre essere tutt’altro che un sistema preciso, quasi mai chi indossa props realizzati da un modello pepakura si cura di citarne la provenienza, millantando di avere fatto tutto da soli. In realtà, il “grosso” del lavoro è proprio a monte – la modellazione 3D dell’oggetto – i cui autori restano quasi immancabilmente anonimi e nell’ombra. Esattamente come esistono parecchi, deprecabili personaggi che, su eBay o per altre vie, vendono modelli già stampati provenienti da file creati da altri, che non solo non vedono un centesimo di quel denaro, ma non vengono neanche citati.